Continuiamo con la pubblicazione di questa riflessione del fisico Manuel Carreira sulla Sindone di Torino: la fisica può spiegare l'origine di questa misteriosa immagine?
2. L'immagine della Sindone: i processi fisici
Anche se non avesse alcuna connotazione religiosa, storica o archeologica, l'esistenza della Sindone di Torino solleverebbe una questione che ci interpella da un punto di vista puramente fisico: come spiegare la formazione di un'immagine unica nell'intera storia dell'arte e della tecnologia di tutti i popoli e che, come vedremo, non è ancora stata riprodotta nel nostro tempo? Non è scientificamente accettabile chiudere gli occhi di fronte a qualcosa che non comprendiamo, ma che è presente nel nostro ambiente: non si tratta di leggende o di resoconti più o meno credibili - come il mostro del lago Ness - o di un "UFO" impossibile da studiare, ma di semplici testimonianze vaghe o contraddittorie.
Non è una soluzione seria e onorevole citare questa tela in una collezione di reliquie assurde, come se fosse possibile ridurre il mistero attraverso l'associazione con altri oggetti evidentemente facili da imitare o da squalificare come supercazzole. Parlare di altri oggetti, a prescindere dalla loro validità o meno, non ha alcuna forza logica per stabilire il valore o il significato di questo singolo oggetto: solo la possibilità di addurre altri casi di immagini praticamente identiche potrebbe servire a spiegare la tela di Torino come un ulteriore caso di un simile insieme.
È noto che solo la Sindone di Torino è stata studiata da così tanti esperti di medicina, chimica, botanica, fisica e archeologia per così tanto tempo: già un secolo, da quando Secondo Pia, nel 1898, ottenne le prime fotografie che stupirono il mondo con il maestoso volto nascosto, del tutto insospettabile, nelle tenui macchie giallastre di quella tela. Questo perché l'oggetto di studio è qualcosa che non ha eguali in nessun museo o catalogo di oggetti strani, non solo per la provenienza e il significato, ma per la materialità stessa di ciò che vediamo. Se c'è una scienza che si vanta di studiare e comprendere la materia, è la fisica che lo fa per professione. Spetta quindi ad essa studiare questo pezzo di tela: forse la sua analisi ci permetterà di scoprire non solo informazioni di interesse teologico e storico, ma anche qualche nuovo processo all'interno dell'attività della materia. E lo studio deve iniziare con una descrizione dettagliata di tutti i dati, senza tralasciarne nessuno.
L'immagine di Torino, secondo le informazioni ottenute da studi scientifici degni di ogni rispetto e mai seriamente confutati, ha le seguenti caratteristiche:
-Consiste in una debole macchia giallastra, difficilmente visibile se osservata da meno di 2 metri circa di distanza, che riproduce una doppia visione, frontale e dorsale, di un corpo umano nudo, coperto di ferite, che hanno lasciato anche macchie di sangue sulla tela.
-L'immagine non mostra né la parte superiore della testa né i fianchi.
-La figura umana, soprattutto il volto, è di grande precisione anatomica, senza distorsioni.
C'è una perfetta corrispondenza tra i due lati dell'immagine, che indica chiaramente che si trattava di un corpo tridimensionale avvolto nella tela.
-Le macchie sulla tela hanno il carattere di un negativo fotografico: solo quando è stata scattata una fotografia nel 1898 (Secondo Pia) è stato possibile apprezzare veramente le informazioni in essa contenute.
-A differenza di una fotografia, sia essa positiva o negativa, esiste una corrispondenza tra l'intensità dell'immagine e la distanza logica tra la tela e il corpo che la ricopre. Una semplice funzione matematica permette di recuperare la tridimensionalità.
-Con le tecniche di miglioramento del contrasto si possono osservare dettagli dell'ordine dei millimetri. Ciò è particolarmente evidente nel caso di una moneta sulla palpebra destra.
-Non c'è pigmento, nemmeno all'esame microscopico, né sulla superficie delle fibre di lino né al loro interno. Non c'è nemmeno fluorescenza che indichi l'esistenza di sostanze estranee alla tela nelle aree dell'immagine.
-Non c'è immagine sotto le croste di sangue: l'immagine deve essere dopo di esse.
-Le macchie giallastre hanno caratteristiche spettrali simili a quelle delle bruciature subite dalla tela nell'incendio del 1532.
Possibilmente significative: tracce di denti e strutture ossee sembrano essere visibili nell'immagine del volto e delle mani; in quest'ultima, le ossa delle dita continuano fino al carpo.8 - L'immagine non è stata intaccata dall'incendio del 1532.
-L'immagine non è stata intaccata dall'alta temperatura o dall'acqua dell'incendio del 1532.
Con questi dati come punto di partenza, dobbiamo trovare un modo di spiegare l'immagine che tenga conto di tutte le caratteristiche sopra elencate.
2.1. Scenari proposti o possibili
Il problema della formazione dell'immagine di Torino può essere suddiviso in sezioni che espongono chiaramente i dilemmi da discutere, secondo le proprietà già descritte.
In primo luogo, è necessario valutare criticamente le procedure le cui cause e i cui effetti sono noti e, in linea di principio, oggi riproducibili:
-L'immagine potrebbe essere il prodotto artificiale di qualche artista, del XIV secolo o precedente, attraverso qualche tecnica di pittura, fotografia primitiva o bruciatura superficiale.
-Se l'ipotesi precedente è insostenibile, forse le impronte sulla tela sono il risultato di un processo senza intervento umano diretto: il contatto con un cadavere che macchia la tela per produrre, almeno nel tempo, la decolorazione che si vede oggi.
Se l'analisi di queste spiegazioni dimostra che non sono sufficienti a spiegare le proprietà osservate, sarà necessario rivolgersi a fenomeni sconosciuti, non riproducibili a piacere, in cui il cadavere ha un effetto diretto sulla tela:
-con un qualche tipo di radiazione corpuscolare o elettromagnetica, che agisce senza contatto.
-Con un contatto simultaneo o successivo accompagnato da un qualche tipo di energia termica o effetto equivalente che altera la cellulosa del lino.
In questi due casi, la causa del fenomeno sarebbe inaspettata dal punto di vista scientifico, in quanto non vi è alcuna ragione plausibile per attribuire a un cadavere umano la capacità di produrre tali effetti. Tuttavia, questa situazione non è sconosciuta alla scienza moderna: l'esistenza stessa dell'universo e la selezione iniziale dei suoi parametri non è spiegabile all'interno della metodologia scientifica, ma l'universo esiste e deve avere una spiegazione per la sua esistenza e per il fatto della sua età finita e dei suoi parametri iniziali. Se la logica ci costringe a escludere ipotesi di ordine artificiale o naturale, dovremo accettare un qualche tipo di intervento soprannaturale. Anche in questo caso, può essere utile cercare di scoprire indizi su come il processo che ha dato origine alle caratteristiche osservabili della tela possa essere stato concretamente realizzato.
2.2. L'immagine di Torino, frutto della tecnología umana?
L'asserzione che si tratti di un dipinto medievale è ancora frequente. Tale "spiegazione" è inconcepibile per chiunque abbia studiato oggettivamente la Sindone. Senza fornire ragioni culturali (molto importanti e senza possibilità di confutazione), il fatto innegabile che non c'è pigmento assorbito dalle fibre di lino e non c'è polvere colorante tra di esse, anche nelle immagini microscopiche ad alto ingrandimento, rende impossibile qualsiasi spiegazione con qualsiasi tecnica di olio, tempera, acquerello o sbavatura di materia solida. Anche gli scettici dell'autenticità dell'immagine confessano che non si tratta di un dipinto.
Quando la tela è stata sottoposta a temperature sufficienti a fondere l'argento nell'incendio del 1532, l'immagine non ha subito alcuna modifica. Non è stata nemmeno diluita dall'acqua utilizzata per spegnere l'incendio, come ci si aspetterebbe se nell'immagine si trovassero sostanze organiche che si decompongono ad alte temperature o materiali solubili in acqua. È chiaro che non è pittura in senso stretto quella che non contiene alcun colorante o veicolo da applicare sulla tela: chi continua a sostenerlo deve dimostrare la sua teoria producendo un'immagine con caratteristiche identiche. Nessuno ci ha provato con successo. Anche artisti molto capaci, volendo copiare l'immagine, hanno ottenuto imitazioni molto scadenti, che non hanno né la finezza dei dettagli né la capacità di ricostruire la tridimensionalità senza distorsioni. Ed è sempre il metodo necessario per il suo lavoro quello di applicare un pigmento chiaramente diverso da quello della tela.
Va inoltre ricordato che l'immagine torinese non è visibile da vicino, alla distanza a cui un ipotetico pittore sarebbe costretto a lavorare, né si può prevedere in alcun modo l'effetto di fotografare il risultato con un'immagine negativa. Ricordiamo l'enorme sorpresa suscitata nel 1898 dall'ottenimento della prima riproduzione fotografica, del tutto insospettabile e di una bellezza mozzafiato, ma nascosta per secoli.
Nel tentativo di ottenere almeno un'opera artistica in grado di dare origine alla tridimensionalità e a un negativo in senso fotografico, sono state proposte altre soluzioni:
Nickell ha realizzato un'imitazione con tintura a secco applicando la tela a un bassorilievo e strofinandovi sopra un cotone idrofilo caricato con una leggera polvere color seppia. Non è stato fatto alcuno sforzo per ottenere il dettaglio, la permanenza o la riflettività spettrale dell'immagine torinese. L'artista non ha nemmeno sottoposto il suo lavoro a uno studio microscopico per scoprire la polvere negli interstizi delle fibre. In realtà, si tratta di un metodo che può avere solo il successo volgare delle riviste popolari o dei media senza criteri scientifici: vedendo il risultato da lontano, a occhio nudo, assomiglia a ciò che si vede nella Sindone di Torino.
Ancora più sorprendenti sono altre imitazioni della Sindone che si basano su processi fotografici, totalmente privi di qualsiasi base storica, che si presume possano essere stati realizzati con materiali a disposizione degli artisti del XIV secolo. In tutti questi casi è necessario un mezzo liquido per impregnare le fibre: l'immagine non risiederà solo sulla sua superficie. Né l'immagine è stata sottoposta alla prova del fuoco e dell'acqua, che la Sindone ha superato nel fuoco. Né l'immagine ha alcun carattere di tridimensionalità, più di quanto non ne abbia una moderna fotografia, anche se scattata con i migliori obiettivi e pellicole: è impossibile, in un'unica fotografia scattata da un unico punto di vista, far sì che il chiaroscuro causato dalla diversa riflettività del soggetto ci dia le informazioni necessarie per recuperare la distanza delle sue varie parti, qualunque sia il loro tono o colore. Ancora una volta, manca totalmente il rigore del confronto scientifico tra ciò che si cerca di spiegare e il risultato ottenuto. Questa ipotesi non tiene nemmeno conto del fatto che non si trova alcuna immagine sotto le macchie di sangue, il che indica che esse esistevano già sulla tela al loro posto prima della produzione dell'immagine.
Tra tutte le tecniche proposte, la più plausibile è quella di una bruciatura ottenuta dal contatto con un bassorilievo metallico alla temperatura appropriata. Senza discutere qui il libero budget di un grande artista sconosciuto, capace di preparare il rilievo frontale e dorsale con tutte le congruenze e i dettagli che oggi ci stupiscono, il risultato dell'applicazione di un panno al metallo caldo è di carattere molto diverso da quello dell'immagine torinese. I punti a contatto sotto pressione avranno una bruciatura più profonda di quelli in cui la vicinanza è appena sufficiente a intaccare la cellulosa. Se non c'è contatto, non è possibile trasferire alcun dettaglio; anche se c'è contatto, è praticamente impossibile ottenere una tela che riproduca qualcosa di così minuto come l'iscrizione su una piccola moneta.
Né è possibile ottenere un'immagine bruciando su una tela su cui devono essere già presenti le macchie di sangue, in modo che l'immagine non si formi dove il sangue appare, al suo posto, senza che questo sangue venga distrutto o alterato dalla pressione del metallo caldo. Se il contatto deve interessare solo le fibrille più superficiali di ogni filo, deve essere molto breve e di uguale durata su tutta la superficie dell'immagine. Tutto ciò può essere descritto come possibile, ma non realizzabile nella pratica.
Non sorprende che nessuno abbia mai presentato un'immagine a grandezza naturale di un corpo umano realizzata con questo metodo, sebbene nei notiziari popolari si parli con leggerezza di questa possibilità e si mostri come prova una bruciatura provocata su una tela da un piccolo medaglione o da un altro oggetto simile. Non sorprende che queste "prove" non siano sottoposte ad alcuno studio scientifico. Le bruciature sperimentali non hanno la stessa riflettanza spettrale dell'immagine di Torino né i dettagli che si vedono in essa.
Se si possono immaginare altri metodi artificiali per produrre un'immagine come quella studiata a Torino, non sono stati presentati per una valutazione scientifica, né come proposta in un articolo dettagliato né, tanto meno, con prove fisiche che dimostrino che è possibile ottenere i risultati in laboratorio. L'immagine non è dovuta a nessuna tecnica conosciuta.
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